EDITORIALE
“Si può affermare che la musica sia una delle forze che maggiormente hanno contribuito all’evoluzione dell’informatica.”
Così parlò Nicholas Negroponte in Essere digitali. E io, esattamente 15 anni fa, lo citavo nell’introduzione della mia tesi di laurea, dal titolo “La musica nella rete. Riconfigurazione del mercato nello spazio telematico”. Allora Internet rappresentava il Male per gli artisti (Metallica su tutti), una bestia strana per le case discografiche, che non avevano ben capito come sfruttarne appieno le potenzialità, e un mezzo di comunicazione poco affidabile per gli utenti, sensibili al fascino di mass media percepiti come più autorevoli come carta stampata, radio e TV.
In soli tre lustri lo scenario è cambiato radicalmente. Distribuzione, promozione e fruizione di musica non sono più quelle di prima. Il digitale supera il fisico, ma il vinile è tutt’altro che morto. I social media si rivelano uno strumento potentissimo per creare engagement con il pubblico. La stampa è in crisi, la TV generalista idem, ma le testate online sono sempre più seguite. MTV non trasmette più musica… solo in apparenza, perché in realtà si è moltiplicata in vari canali tematici: la sua offerta non è mai stata così ampia. E lei, la musica, dove sta andando?
Sento il bisogno di fare il punto della situazione. Ho voglia di capire cos’è cambiato e dove stiamo andando. Lo faccio con Luca De Gennaro, che dalla metà degli anni ‘70 lavora nella musica tra radio, TV e carta stampata. La sua playlist abbraccia 50 anni di storia, partendo proprio dagli anni ‘70: un brano per ogni decennio.
La playlist
INTERVISTA
Luca De Gennaro si occupa di musica da circa 40 anni. Partito dalle radio locali, negli anni ’80 approda a Radio Rai e nei primi anni 2000 a Radio Capital, dove attualmente conduce “Whatever”. Parallelamente negli anni ’80 inizia a lavorare per la televisione: prima a Rai Uno e poi a MTV, di cui è Vice President Talent & Music, South. Giornalista pubblicista, annovera collaborazioni con L’Espresso, Rockstar, Musica di Repubblica e Rolling Stone. Insegna al Master in Comunicazione musicale dell’Università Cattolica di Milano ed è anche attivo come DJ, in Italia e all’estero. Insomma, è uno che con la musica lavora e che di musica vive. A suo avviso, che rapporto ha la gente con la musica?
“Noto che c’è molta più apertura rispetto a una volta. I ragazzi di oggi non hanno problemi a dire che amano l’hip hop ma anche, chessò, gli One Direction. E il fatto che Skrillex e Justin Bieber lavorino insieme la dice lunga su questo atteggiamento. La gente non si vergogna più a dire che ascolta anche artisti molto commerciali. Secondo me c’è una bella cultura.”
Ma avere tutta la musica del mondo (o quasi) a portata di clic non si traduce forse in un ascolto più distratto e quindi in un minor coinvolgimento?
“Sicuramente è la modalità di fruizione a consentirti di spaziare. Noi all’epoca destinavamo la paghetta all’acquisto di un disco al mese: lo compravi e per 30 giorni sentivi solo quello! Dovevi quindi scegliere bene cosa comprare. Oggi con pochi soldi, se non addirittura gratis, senti tutto. Questo rende più difficile scoprire qualcosa che veramente ti piace: se c’è troppa roba, da dove cominci? Inoltre per gli artisti è ancora importante il disco fisico. Ogni artista ci tiene a realizzare un album, un’opera che abbia un inizio e una fine, che contiene un certo numero di canzoni e che è una fotografia del momento. L’artista ha bisogno di pensare in termini di album… e l’ascoltatore no! Il pubblico oggi ragiona in linea di massima per singole canzoni inserite in playlist personali.”
Il senso dell’album, però, si recupera con il vinile, che negli USA registra una crescita significativa proprio tra i più giovani: la metà degli acquirenti di vinile ha meno di 25 anni. Come se lo spiega?
“Intorno a questo oggetto c’è del fascino. I giovani sono abituati a vedere i DJ all’opera con strumentazione digitale, e quando ne vedono uno che mixa con i vinili restano estasiati: non riescono a credere che con un supporto così ‘rudimentale’ si possano fare quelle cose! Il successo del vinile è anche dovuto alla bellezza dell’oggetto in sé, di cui si apprezzano soprattutto le dimensioni. Infine c’è l’esigenza di ascoltare un’opera che ha un inizio e una fine. Se cerchi un artista su Spotify, ti esce una sfilza infinita di titoli e resti disorientato. Il disco, invece, lo metti sul piatto, poi lo giri e poi finisce. L’amore per il vinile nasce dal bisogno di capirci meglio, di andare più in profondità nei confronti degli artisti che ci piacciono.”
Dicevamo: l’offerta di musica è immensa. Eppure in molti si lamentano che MTV non ne trasmette più…
“Se sei pigro e ti fermi al primo canale di MTV, dici che non c’è più musica. Ma oggi MTV fatta di è tanti canali diversi (che trasmettono un sacco di musica), Internet e servizi su mobile. Un mondo di comunicazione multipiattaforma che abbraccia tutto, cosa che ogni brand di comunicazione forte dovrebbe diventare, se vuole stare al passo con i tempi. Come diceva Van Toffler, ex Presidente di MTV: ‘Quelli che dicono «Mi piacerebbe che MTV trasmettesse i video come quando avevo 17 anni» non lo dicono perché vogliono vedere i video… ma perché vorrebbero avere ancora 17 anni!’”
La stampa, invece, in quali condizioni versa?
“Siamo in una fase di transizione in cui il vecchio giustifica il nuovo. Devi avere una presenza su carta per dire al pubblico che hai una presenza in rete, che è poi quella che conta di più. Varie riviste, in Italia e all’estero, hanno interrotto le pubblicazioni perché erano in perdita e sono rimaste solo online, ma nessuno se ne accorge. La loro assenza nelle edicole penalizza la loro presenza online.”
Quale futuro vede per il giornalismo musicale?
“Quello che regge su tutti i media è il concetto di autorevolezza. Non mi interessa sapere quello che un qualsiasi giornalista dice del nuovo disco dei Foo Fighters: voglio sapere cosa dicono David Fricke di Rolling Stone, o Dorian Linskey del Guardian. Mi interessano le opinioni di veri ‘critici musicali’ che stimo. L’autorevolezza della firma giornalistica è fondamentale e in questo periodo la parola chiave è ‘curation’: una playlist di Spotify, ad esempio, può essere un’accozzaglia di canzoni messe a caso, oppure può essere ‘curata’. ‘Whatever’ è un programma radiofonico di classic rock, quindi per forza mi trovo a ripetere spesso le grandi canzoni del passato, ma se curi la sequenza musicale con lo storytelling, diventano più interessanti per chi le ascolta e acquistano ad ogni passaggio un po’ di fascino in più.”
La playlist di Luca De Gennaro copre 50 anni di musica, dagli anni ’70 agli anni ’10 del nuovo millennio. Per i primi tre decenni, Luca sceglie i brani senza esitazione alcuna, poi invece la selezione si fa più problematica. Che sia una questione di qualità della musica o di quantità dell’offerta…?
LA PLAYLIST DI LUCA DE GENNARO
Because The Night – Patti Smith
“Gli anni ’70 sono un decennio sbalorditivo per l’eclettismo della proposta musicale. Dopo lo scioglimento dei Beatles, nascono e proliferano tantissimi generi musicali accompagnati da un’immagine e da un immaginario molto diversi tra loro. Dalla metà degli anni ’70, però, tutto viene messo in discussione dal punk, che è soprattutto un fenomeno di impatto mediatico (infatti Vivienne Westwood e Malcolm McLaren si occupavano inizialmente di moda, non di musica!). Per questo decennio scelgo Patti Smith perché dà fortissima profondità al punk: cita Rimbaud e i poeti maledetti francesi nei suoi reading davanti ai punk della scena newyorkese. Incarna le due anime di poetessa maledetta del punk (e quindi di nicchia) e di dominatrice delle classifiche, proprio grazie a una canzone come questa. Peraltro con i due concerti di Patti a Bologna e a Firenze nel ’79 l’Italia tornò nel circuito live internazionale dal quale mancava da parecchi anni, quindi il suo arrivo rappresentò un momento epocale per il popolo rock italiano.”
Hungry Heart – Bruce Springsteen
“Gli anni ’80 sono quelli di MTV: la musica si vende abbinandola all’immagine. Emergono i primi artisti per i quali la parte visiva è parte integrante del processo di comunicazione: Madonna, Michael Jackson, Duran Duran, Prince… Io però scelgo un brano di Bruce Springsteen, perché per me il simbolo di questo decennio è un concerto. Nell’80 pubblica ‘The River’, e l’11 aprile 1981 si esibisce a Zurigo. È la data più vicina all’Italia e noi appassionati di rock ci andiamo in massa: quella sera c’erano probabilmente più italiani che svizzeri! Nasce la mania per il Boss, che culminerà nell’85 con il suo leggendario concerto a San Siro.”
Smells Like Teen Spirit – Nirvana
“Per quanto mi riguarda, i primi anni ’90 sono stati il momento radiofonicamente più bello della mia vita. Dal 1991 al 1994 ho condotto Planet Rock su Radio Rai, programma che ha testimoniato l’ultima rivoluzione rock: il periodo che va dalla pubblicazione di ‘Nevermind’ nel 1991 al suicido di Kurt Cobain nell’aprile 1994. Per la prima volta il rock è riuscito a incontrare altri linguaggi. Il grunge riprendeva l’hard rock, certo, ma aveva anche una grande melodiosità. Cobain sapeva scrivere canzoni d’amore pazzesche, con grande tormento e grande energia. In questo decennio sono usciti anche altri album importantissimi: capolavori come ‘OK Computer’ dei Radiohead o ‘Grace’ di Jeff Buckley, e dischi che fondono linguaggi diversi come ‘Blue Lines’ dei Massive Attack e ‘Blood Sugar Sex Magik’ dei Red Hot Chili Peppers. In quei tre anni la musica è cambiata radicalmente per l’ultima volta.”
Time To Pretend – MGMT
“Gli anni zero sono stati un decennio che ha beneficiato di quanto accaduto prima. Sono gli anni di Strokes e White Stripes, che sono band per definizione ‘derivative’, per il tipo di musica e per la strumentazione che usano. Nascono le ultime stadium band, tipo Muse, Foo Fighters, Coldplay, e si affermano i DJ superstar come David Guetta. Scelgo ‘Time To Pretend’ degli MGMT perché è un esempio della nuova scena indie. Il pezzo è molto bello, sia per composizione che per sonorità, e il gruppo piaceva molto. Purtroppo però si è vergognato del proprio successo e si è musicalmente chiuso in sé stesso.”
Get Lucky – Daft Punk (feat. Pharrell Williams and Nile Rodgers)
“Per gli anni ’10 il pezzo è sicuramente ‘Get Lucky’, che simboleggia un po’ la riscoperta del passato. I Daft Punk hanno fatto un’operazione mediatica molto moderna con una canzone che è disco music pura! Da una parte è il trionfo del marketing e della comunicazione, dall’altro però è la conferma che la musica deve essere musica. E quando in una canzone metti dei musicisti pazzeschi, si sente!”